L’1 e 2 marzo si è tenuta a Napoli la due giorni nazionale di “abitare nella crisi”. Il tema centrale era la trasformazione degli sportelli per l’abitare che dall’autorganizzazione per riappropriarsi del diritto alla casa sempre più tendono ad allargare la propria sfera d’intervento e a configurarsi come sportelli metropolitani di lotta all’austerity e di riappropriazione di reddito dal basso.
La due giorni però, con la partecipazione di decine di attivisti da molte città italiane, da Palermo a Torino, è diventata anche occasione per un confronto più largo sulle prossime fasi di mobilitazione comune.
Significativa la partecipazione dal sud e dalle aree non metropolitane, oltre le presenze consolidate dalle città dove storicamente il movimento per la casa ha una presenza assai significativa. Questo ad indicare probabilmente l’estendersi di una disponibilità sociale ad autorganizzarsi su questi terreni individuati come arma efficace di resistenza alla crisi.
Il sabato si sono tenuti due workshop. Quello specifico sugli sportelli ha visto inizialmente una fase narrativa, di scambio e di confronto su pratiche ed esperienze, sulle dinamiche di soggettivazione e ricomposizione che (ancor più nelle piccole città) si danno a partire dall’integrare la lotta per la casa e il blocco degli sfratti con quelle contro il carovita, l’indebitamento, i distacchi delle utenze, le tasse più oppressive o odiose (come la vicenda Tares a Giugliano). Spunti sul terreno del mutualismo dal basso con la mappatura, l’occupazione e l’autogestione di strutture e risorse urbanistiche da sottrarre alla rendita, al profitto e alle privatizzazioni (mense, spazi sociali ecc).
I principali percorsi comuni prospettati nella discussione sono stati perciò le campagne di autoriduzione verso le grandi catene di distribuzione, le iniziative contro l’indebitamento sociale e gli strumenti istituzionali di vessazione come Equitalia, la resistenza ai distacchi delle utenze e una campagna per ridurre le bollette dei ceti colpiti dalla crisi, passando da un pagamento a consumo al pagamento secondo reddito. Si è convenuto sulla settimana dal 24 al 30 marzo, in costruzione della manifestazione nazionale del 12 aprile, come periodo condiviso e co-promosso per iniziative di riappropriazione sul tema del reddito. Un appuntamento da interpretare in forma flessibile con le diverse esperienze che esistono nei territori (per stare sempre dentro dinamiche socialmente rappresentative) e poi immaginare nel medio periodo momenti di iniziativa anche più omogenei e coordinati.
Il secondo workshop affrontava gli effetti della spending review e delle politiche di austerity, con l’uso politico della crisi del debito anche a livello degli enti locali e le sue conseguenze verso le lotte per il reddito e per l’abitare. Tagli, privatizzazioni e svendita del patrimonio pubblico fra gli effetti più evidenti di un processo che con i recenti decreti “anti-dissesto” cerca ancor più di commissariare gli spazi di decisione politica vincolandoli all’estrazione di profitto e al controllo di organi fintamente “tecnici”. Fondamentale, secondo la discussione, individuare gli attori istituzionali che traducono sul piano territoriale le politiche di austerity, per conto di quali interessi e con quali progetti di ristrutturazione. Una cartografia molto larga che va dalle regioni e gli altri enti locali ai soggetti erogatori di servizi fondamentali (acqua, luce, rifiuti) è che è necessaria per impattare i loro dispositivi con mobilitazioni efficaci. Questo spazio di discussione ha anche approfondito l’accelerazione repressiva che dopo i No Tav ha colpito gli attivisti del movimento per la casa a Roma e il movimento dei precari Bros a Napoli, convenendo sul fatto che si cercava di colpire movimenti capaci di canalizzare la rabbia sociale verso rivendicazioni concrete. Con la magistratura che si presta a fare il lavoro sporco di una casta politica in difficoltà.
Infine si è valorizzata la presenza migrante all’interno dei movimenti per l’abitare: la manifestazione meticcia del 19 ottobre ha mostrato definitivamente al paese un corpo sociale che non intende limitarsi alle sole rivendicazioni amministrative sul diritto di soggiorno e di residenza.
La plenaria di domenica è ripartita da una sintesi dei workshop e dall’intervento dei precari Bros investiti da un teorema accusatorio che racconta la lotta di massa per il lavoro/reddito come una pratica estorsiva (proprio ieri il tribunale del riesame ha smontato l’accusa di associazione a delinquere, conservando però pesanti misure cautelari come l’obbligo di dimora).
Dopo un dibattito che fondamentalmente riprendeva i temi del giorno precedente, confermando in particolare l’appello alla settimana di iniziativa comune su reddito, riappropriazione, lotta sul costo delle utenze e sull’indebitamento sociale per il 24/30 marzo, si è aperto il confronto sugli altri appuntamenti di mobilitazione nazionale.
A partire dalla due giorni del 14-15 marzo per la libertà di movimento e contro la repressione, con momenti diffusi di confronto pubblico il 14 e corteo con partecipazioni nazionali a Roma sabato 15 marzo.
L’appuntamento fondamentale di questa fase è la manifestazione nazionale del 12 aprile,che vedrà tutti mobilitati sulla lotta all’Europa dell’Austerity per uno spazio transnazionale dei movimenti e dei conflitti, continuando quel percorso che il 19 ottobre ha visto tante decine di migliaia di donne e di uomini in piazza per rivendicare una sola grande opera: casa e reddito per tutti!
Una manifestazione che sarà anche il primo momento di mobilitazione comune contro il nuovo governo Renzi e i suoi progetti di ulteriore flessibilizzazione del mondo del lavoro sotto la copertina corta e la retorica della flex-security. In tal senso la convinzione comune è che la rivendicazione di reddito e la lotta alla precarizzazione del lavoro siano due terreni assolutamente interconnessi, così come in potenza lo sono le lotte che queste contraddizioni esprimono.
Infine sul primo maggio la proposta è quella di mobilitazioni articolate a livello territoriale intorno al tema della precarietà e contro il Jobs Act, dalla piazza romana che vuole a contestare il rito del concertone di San Giovanni alla May Day di Milano, individuando percorsi e pratiche che sottraggano questa giornata alla ritualità sempre più svuotata dei sindacati concertativi di cui è importante evidenziare contraddizioni e crisi di rappresentatività sociale.